La persecuzione di un
popolo sotto l’indifferenza del mondo
In
Birmania (ora Myanmar), la spietata dittatura narcomilitare al potere
ormai dal lontano 1988, dopo la rivolta popolare e le dimissioni
dell’allora dittatore Ne Win, non opprime soltanto i birmani, ma
anche le altre etnie minoritarie di cui è costituito questo
splendido paese indocinese. E tra queste etnie in rivolta da mezzo
secolo contro il centralismo autoritario del regime di Yangoon ci
sono appunto i Karen. Si tratta della principale minoranza etnica in
Birmania (oltre cinque milioni), di religione cristiana, che popola
le regioni montuose nell’Est del paese, al confine con la
Thailandia. I Karen si oppongono al potere centrale birmano sin dal
1948. Dapprima lo hanno fatto con un movimento politico, la Karen
National Union (KNU), che però è stato annientato dalla
repressione brutale del regime militare. Di fronte a tanta violenza,
il KNU si è trasformato in un esercito guerrigliero, il Karen
National Liberation Army (KNLA), che ha circa seimila combattenti
e che tiene testa all’agguerrito esercito birmano, armato ed
addestrato dai cinesi. Il regime birmano reputa i Karen tutti
terroristi e sovversivi, e non fa differenze tra civili e
guerriglieri. Periodicamente, le truppe birmane attaccano le regioni
abitate dai Karen, si scontrano con i guerriglieri, distruggono
qualche accampamento, ma vengono sempre respinte. Nella ritirata, le
soldataglie di Yangoon, si vendicano sui villaggi karen,
massacrandone gli uomini, stuprando e seviziando le donne, e non
facendosi scrupoli nell’uccidere anche vecchi e bambini. Un lento e
sanguinoso genocidio che sta decimando il popolo Karen. Molti civili
karen vengono ridotti in schiavitù dall’esercito e costretti a
lavorare per i soldati, scavando trincee, costruendo ponti,
diboscando tratti di giungle: chi si rifiuta di lavorare viene ucciso
a bastonate, chi tenta di fuggire viene ucciso senza pietà. Nelle
carceri terrificanti di Yangoon e Mandalay, insieme a molti
prigionieri politici birmani, languono decine di prigionieri karen,
catturati durante le rappresaglie dell’esercito. In quelle vere e
proprie “case dell’orrore” che sono le prigioni birmane,
torture, sevizie, maltrattamenti e uccisioni, sono all’ordine del
giorno, in particolare nei confronti di membri di etnie ribelli come
i Karen, i Kachins, gli Arakanais. Dopo i recenti uragani che hanno
colpito la Birmania, i Karen e le altre etnie hanno tentato di
ottenere parte degli aiuti inviati a Yangoon dalla comunità
internazionale, ma il regime birmano non ha fatto pervenire nelle
regioni abitate dalle etnie minoritarie neppure una goccia dei
copiosi aiuti giunti in Birmania, e, per giunta, ha inasprito la
repressione, scatenando nuove offensive militari, effettuando nuove
rappresaglie, nuovi arresti e nuovi massacri. Insomma, in Birmania,
un intero popolo, quello dei Karen, sta rischiando l’estinzione,
sotto l’indifferenza del mondo intero. La tragica situazione
birmana è stata già affrontata più volte anche in sede ONU, ma la
Cina e la Russia (che con il regime dittatoriale birmano fanno ottimi
affari), proteggono Yangoon e bocciano ogni tentativo di intervento
in Birmania, nonostante le veementi proteste di Thailandia e
Bangladesh, che si vedono costretti ad accogliere migliaia di
profughi birmani in fuga dalle regioni dove infuriano i combattimenti
tra esercito e guerriglia. Insomma, una situazione spaventosa,
terrificante, vede un popolo agonizzare e lottare nel più assoluto
silenzio del mondo. Ma i Karen sono tenaci e irriducibili, non
smetteranno di lottare e continueranno a difendere i loro territori,
convinti che in futuro riusciranno a diventare una nazione libera e
indipendente non più oppressa dalla brutale dittatura birmana. Una
lotta per la libertà che tutti noi dovremmo sostenere, perché anche
i Karen, come tutti i popoli di questa Terra, hanno pieno diritto di
vivere liberi e non oppressi da uno dei regime più sanguinari e più
repressivi dell’intero pianeta!
Fabrizio
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