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domenica 12 aprile 2015

Prosegue in Birmania l’atroce massacro dei Karen




La persecuzione di un popolo sotto l’indifferenza del mondo

In Birmania (ora Myanmar), la spietata dittatura narcomilitare al potere ormai dal lontano 1988, dopo la rivolta popolare e le dimissioni dell’allora dittatore Ne Win, non opprime soltanto i birmani, ma anche le altre etnie minoritarie di cui è costituito questo splendido paese indocinese. E tra queste etnie in rivolta da mezzo secolo contro il centralismo autoritario del regime di Yangoon ci sono appunto i Karen. Si tratta della principale minoranza etnica in Birmania (oltre cinque milioni), di religione cristiana, che popola le regioni montuose nell’Est del paese, al confine con la Thailandia. I Karen si oppongono al potere centrale birmano sin dal 1948. Dapprima lo hanno fatto con un movimento politico, la Karen National Union (KNU), che però è stato annientato dalla repressione brutale del regime militare. Di fronte a tanta violenza, il KNU si è trasformato in un esercito guerrigliero, il Karen National Liberation Army (KNLA), che ha circa seimila combattenti e che tiene testa all’agguerrito esercito birmano, armato ed addestrato dai cinesi. Il regime birmano reputa i Karen tutti terroristi e sovversivi, e non fa differenze tra civili e guerriglieri. Periodicamente, le truppe birmane attaccano le regioni abitate dai Karen, si scontrano con i guerriglieri, distruggono qualche accampamento, ma vengono sempre respinte. Nella ritirata, le soldataglie di Yangoon, si vendicano sui villaggi karen, massacrandone gli uomini, stuprando e seviziando le donne, e non facendosi scrupoli nell’uccidere anche vecchi e bambini. Un lento e sanguinoso genocidio che sta decimando il popolo Karen. Molti civili karen vengono ridotti in schiavitù dall’esercito e costretti a lavorare per i soldati, scavando trincee, costruendo ponti, diboscando tratti di giungle: chi si rifiuta di lavorare viene ucciso a bastonate, chi tenta di fuggire viene ucciso senza pietà. Nelle carceri terrificanti di Yangoon e Mandalay, insieme a molti prigionieri politici birmani, languono decine di prigionieri karen, catturati durante le rappresaglie dell’esercito. In quelle vere e proprie “case dell’orrore” che sono le prigioni birmane, torture, sevizie, maltrattamenti e uccisioni, sono all’ordine del giorno, in particolare nei confronti di membri di etnie ribelli come i Karen, i Kachins, gli Arakanais. Dopo i recenti uragani che hanno colpito la Birmania, i Karen e le altre etnie hanno tentato di ottenere parte degli aiuti inviati a Yangoon dalla comunità internazionale, ma il regime birmano non ha fatto pervenire nelle regioni abitate dalle etnie minoritarie neppure una goccia dei copiosi aiuti giunti in Birmania, e, per giunta, ha inasprito la repressione, scatenando nuove offensive militari, effettuando nuove rappresaglie, nuovi arresti e nuovi massacri. Insomma, in Birmania, un intero popolo, quello dei Karen, sta rischiando l’estinzione, sotto l’indifferenza del mondo intero. La tragica situazione birmana è stata già affrontata più volte anche in sede ONU, ma la Cina e la Russia (che con il regime dittatoriale birmano fanno ottimi affari), proteggono Yangoon e bocciano ogni tentativo di intervento in Birmania, nonostante le veementi proteste di Thailandia e Bangladesh, che si vedono costretti ad accogliere migliaia di profughi birmani in fuga dalle regioni dove infuriano i combattimenti tra esercito e guerriglia. Insomma, una situazione spaventosa, terrificante, vede un popolo agonizzare e lottare nel più assoluto silenzio del mondo. Ma i Karen sono tenaci e irriducibili, non smetteranno di lottare e continueranno a difendere i loro territori, convinti che in futuro riusciranno a diventare una nazione libera e indipendente non più oppressa dalla brutale dittatura birmana. Una lotta per la libertà che tutti noi dovremmo sostenere, perché anche i Karen, come tutti i popoli di questa Terra, hanno pieno diritto di vivere liberi e non oppressi da uno dei regime più sanguinari e più repressivi dell’intero pianeta!


Fabrizio Legger














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