I
sostenitori dell'utilizzo dell'energia nucleare sbandierano, quasi
fosse l'unico possibile vanto, il minor prezzo dell'elettricità
prodotta rispetto a quella ottenuta con altri tipi di centrali (a
gas, carbone, petroli). Paradossalmente, la critica diventa più
forte quando la discussione si sposta su quanto viene erogato da
impianti eolici o solari. Eppure, la “questione nucleare” è di
una imbarazzante semplicità. Il prezzo all'utente finale
dell'elettricità prodotta non tiene conto dei costi di costruzione
di una centrale (tra i 5 e i 10 miliardi di euro), di quelli legati
alla sua dismissione (può durare anche qualche migliaio di anni, a
tutt'oggi sono incalcolabili), i costi occulti durante il suo
funzionamento (dovuti al trasporto, alla protezione ed allo
stoccaggio fuori sede delle scorie che è maggiore rispetto a quello
di costruzione). Il business in perdita non viene fatto da ditte
private ma dagli Stati che hanno deciso di utilizzare questa forma di
produzione di energia, senza contare quello secondario e (spesso) di
natura politica ed espansionista legata ad utilizzi militari. I
rischi che vengono calcolati (sulla carta) sono quelli legati ad
incidenti interni (malfunzionamento interno come a Chernobyl) ed
esterni (eventi naturali come a Fukushima o veri e propri attentati
terroristici). La Storia mostra come la scelta nucleare sia andata di
pari passo con quella di un rafforzamento militare in quanto i due
settori (la produzione energetica e la Difesa) finiscono per
intrecciare un rapporto particolarmente simbiotico. L'accordo quadro
sul programma atomico iraniano avallato da Cina, Russia, Germania,
Francia, Regno Unito, Stati Uniti, non credo segni una prospettiva
immediata di attacco ad Israele (anche se non è da escludere) ma
indica senz'ombra di dubbio la decisione di un rafforzamento militare
non indifferente. Così han fatto tutte (le Nazioni). Lo dice la
Storia.
Pier Giorgio Tomatis
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