La repressione attuata
dall’esercito indiano rinforza la guerriglia separatista
Nazionalisti e
socialisti uniti contro l’oppressione di Delhi
Il
Nagaland è la terra dei Naga, eredi degli antichi tagliatori
di teste di salgariana memoria, e le terre da essi abitate si trovano
nell’estremo oriente indiano, al confine con la Birmania e la Cina.
I Naga
sono un popolo di origini nepalesi e birmano-tibetane, di religione
cristiana, hanno una propria lingua e una propria cultura e non hanno
nulla che spartire con gli indù e con l’India, paese all’interno
del quale sono inglobati e da cui sono dominati. Lo stato indiano del
Nagaland fa parte insieme ad altri sei delle cosiddette”Sette
Sorelle” del Nord-Est indiano, ma è stato forzatamente inserito
nell’Unione Indiana.
All’indomani
della Partizione tra India e Pakistan, nel 1947, i Naga si
aspettavano che i territori da essi abitati venissero dichiarati non
parte dell’India e potessero quindi costituirsi in uno stato
indipendente. Ma così non fu: anche il territorio dei Naga venne
inglobato nell’Unione e ogni richiesta di indipendenza venne
azzittita dal rigido centralismo indiano. Così, a partire dal 1956,
l’indipendentismo Naga si concretizzò dapprima nel Consiglio
Nazionale Socialista del Nagaland (guidato da Isak Muivah) che,
unitamente alle rivendicazioni politiche e alla lotta di classe,
portò avanti una lotta armata indipendentista contro le truppe
dell’esercito indiano stanziate nella regione, poi, negli anni
successivi, si suddivise in altri due tronconi: il Consiglio
Nazionalista Naga e un altro Consiglio Nazionalista Socialista
del Nagaland (condotto da Khaplang Kitovi). Tutti e tre questi
movimenti guerriglieri rivendicano l’indipendenza del Nagaland, ma
le loro disunioni fanno il gioco del potere centrale indiano, che
domina il paese grazie al “divide et impera”.
Ma perché
l’India non concede l’indipendenza ai Naga? Essenzialmente per
due motivi. Il primo, perché il Nagaland è ricchissimo di petrolio,
ricchezza energetica che è indispensabile per lo sviluppo
dell’economia indiana, attualmente in una fase di grande crescita.
Il secondo, perché l’India è uno stato centralista che mantiene
al suo interno molte etnie che lottano per sottrarsi al soffocante
abbraccio dell’Unione: concedere l’indipendenza ai Naga
significherebbe doverla poi dare anche ai Kashmiri, ai Sikh, agli
Assamesi, ai Manipuriani e a tutte gli altri popoli che si battono
per uscire dall’Unione Indiana. Così, l’unica risposta data
dall’India alle richieste di indipendenza dei Naga, è quella della
repressione e della violenza.
L’esercito
indiano sferra periodicamente violente offensive contro le foreste
dove si nascondono i ribelli Naga, bombarda villaggi, deporta civili
e comunità tribali, arresta ogni Naga che sia sospettato di
appoggiare la ribellione indipendentista che è, al contempo, anche
una lotta di chiara matrice socialista e rivoluzionaria. Accanto alla
polizia di frontiera indiana e alle unità speciali di antiguerriglia
dell’esercito di Delhi, operano anche milizie private di
nazionalisti indù, che danno al caccia ai ribelli Naga non solo
perché separatisti, ma anche perché cristiani fondamentalisti, e
quindi nemici dell’Induismo. Così, massacri, arresti, torture,
esecuzioni sommarie nei confronti delle popolazioni Naga sono
all’ordine del giorno nelle zone dove opera la guerriglia.
Nell’ultimo
decennio, i guerriglieri Naga hanno spostato le loro basi oltre
confine, nella vicina Birmania, ma, ultimamente, il governo di Delhi
ha stretto accordi di collaborazione militare con la dittatura
birmana: l’esercito birmano sferrerà offensive contro le
postazioni dei ribelli Naga in territorio birmano e, in cambio, i
soldati indiani pattuglieranno il confine respingendo i gruppi di
ribelli separatisti birmani che cercano di varcare la frontiera con
l’India per sfuggire alle offensive delle truppe dei generali di
Yangoon. Così, nel Nagaland, continuano a divampare fuochi di guerra
e di ribellione, con conseguenti distruzioni, stragi di civili, atti
di terrorismo. Ma la lotta dei Naga non si fermerà: gli eredi dei
tagliatori di teste hanno proclamato il Nagaland “terra sacra a
Cristo” e hanno giurato che continueranno a combattere, sino
all’ultimo uomo, sino all’ultima donna, sino all’ultimo
bambino, pur di liberare la loro terra dall’odiata oppressione
indiana. E la dura lotta in corso, che prosegue da oltre mezzo secolo
nel devastato Nagaland, lo sta ampiamente a dimostrare!
Fabrizio
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