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martedì 31 marzo 2015

Cine-amatori





Facciamocene una ragione. La Pirelli ha una proprietà che non è più solo a maggioranza italiana. La ChemChina è entrata nella stanza dei bottoni della società meneghina. Chi trema di fronte a questa novità economica (che è molto diversa da quella di Fiat/Chrysler) deve farsene una ragione ed abituarsi all'idea. Seguiranno altri casi come questo. E' inevitabile. Il trend di crescita degli investimenti non sta in Italia ma nei ricchi Paesi dell'Opec, dell'India e appunto della Cina. Ad iniziare la rivoluzione che è oggi sotto gli occhi di tutti è stata Margaret Thatcher. In modo massiccio, nella sua seconda legislatura come Primo Ministro, la Lady di Ferro vendette i gioielli dell'economia inglese e le case di proprietà pubblica agli inquilini che ci abitavano. I suoi stessi compagni di Partito definirono questo “liberismo” spinto come una vendita “dell'argenteria” di famiglia. La sua uscita di scena è stata determinata da uno scrutinio interno dopo una insanabile frattura dovuta alle dimissioni del ministro degli esteri Geoffrey Howe. I suoi stessi “amici” la accusavano di essere, con la sua intransigenza, la causa di un completo isolamento del paese nei preliminari della conferenza che avrebbe dovuto sancire il trattato di Maastricht. Oggi, James Cameron vorrebbe portare il Paese fuori dell'Europa con un referendum. La Thatcher, evidentemente, non era poi così poco lungimirante. Bene, la Primo Ministro combatteva a muso duro le critiche alle liberalizzazioni ed alla vendita delle storiche industrie inglesi con un concetto tanto semplice quanto inattaccabile: non è importante chi ha la proprietà dell'azienda quanto il lavoro che il consiglio di amministrazione deve saper dare. Questo è il vero banco di prova di un'azienda. Non è importante, quindi, se la Pirelli è di Tronchetti Provera, di Unicredit o di Intesa San Paolo ma se le produzioni rimarranno in Italia e se l'occupazione crescerà. Questo è il vero nodo cruciale dell'operazione. I disastri economici sanno farli gli stranieri allo stesso modo degli italiani. L'Ilva di Taranto, dopotutto, era di proprietà della famiglia Riva. Nessuno ha la sfera di cristallo ed è perciò stupido ipotizzare il futuro della Pirelli con assoluta certezza. Giudichiamo l'operazione in base ai risultati operativi (economici e non solo monetari). 
Pier Giorgio Tomatis

I soliti sospetti






Forse non tutti sanno che una delle norme più longeve del New Deal di Roosevelt, introdotta nel 1933 ai tempi della Grande Crisi, è il Glass-Steagall Act (prendendo il nome dai due relatori e promotori: il Senatore Carter Glass e il Deputato Henry B. Steagall) che istituì la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) negli Stati Uniti e attuò delle riforme bancarie, progettate per controllare la speculazione. Questa Legge, rivoluzionaria per l'epoca anche in virtù del fatto che è stata fortemente voluta da un acceso sostenitore e difensore del liberismo, sanciva la sostanziale separazione tra le banche commerciali, cioè quegli istituti di credito che raccoglievano denaro presso i risparmiatori per prestarlo e lucrare sulla differenza dei due tassi applicati, e le banche d’investimento, le quali investivano capitali in prodotti finanziari e offrivano consulenze. A partire dagli anni Ottanta, l'industria bancaria ha cercato di convincere il Congresso ad abrogare tale normativa. Ci riuscì nel 1999. Il Glass-Steagall Act fu abrogato. Molti commentatori sostengono apertamente che questa sia stata una delle cause della crisi. Il Congresso statunitense, a maggioranza repubblicana, approvò una nuova legge bancaria promossa dal Rappresentante (Jim Leach) e dal Senatore Phil Gramm. Venne promulgata il 12 novembre 1999 dal Presidente Bill Clinton e divenne universalmente nota con il nome di Gramm-Leach-Bliley Act. Questa nuova legge abrogava le disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933, proprio nella parte che prevedeva la separazione tra attività bancaria tradizionale e quella di investment banking, lasciando inalterate le disposizioni che riguardavano la Federal Deposit Insurance Corporation. Poco importa, il peggio era stato compiuto. Perché questa normativa era così importante? L'obiettivo che Roosevelt aveva intenzione di raggiungere (e ci era riuscito) era quello di evitare che il fallimento dell'intermediario (la banca d'investimento) comportasse altresì il fallimento della banca tradizionale (quella che raccoglieva i risparmi dei cittadini). In questo modo, si impediva che l'economia reale (quella che produce beni e da lavoro) fosse direttamente esposta al pericolo di eventi negativi (dovuti prettamente ai rischi assunti dal mercato finanziario). Un altro risultato negativo che si è ottenuto con questa operazione è che le banche non svolgono più il loro compito precipuo e cioè quello di prestare del denaro. Esse lo ritengono (laddove gli Stati pongono dei limiti di usura) economicamente poco vantaggioso e preferiscono investire grosse cifre in altri tipi di operazioni finanziarie. Che sono, per la loro stessa natura, molto rischiose e azzardate. La crisi attuale è figlia legittima e riconosciuta proprio di questa scelleratezza nella scelta della filosofia politico-economica da applicare e dall'interessata miopia di chi ora detiene saldamente le redini del mercato globale. Altro che Nuovo Ordine Mondiale. Lo stato d'insolvenza nel mercato dei mutui subprime ha scatenato una crisi di liquidità che si è trasferita simultaneamente all'attività bancaria tradizionale. E da questa ai correntisti. Cioè, alla gente comune. 
Pier Giorgio Tomatis

(Exit) Poll Fiction






Una recente tendenza della politica nostrana è quella di anticipare una notizia economica allo scopo di guadagnare punti nei sondaggi o credibilità nei mercati. Come se non bastassero i danni che i “rapporti trimestrali” fanno alle aziende e all'azionariato, ecco che il sistema si rinnova aumentando gli strumenti a disposizione. Se il mercato mondiale fosse uno smartphone si potrebbe affermare che si è arricchito di una nuova app: la (Exit) Poll Fiction. Il meccanismo è semplicissimo. Pur di anticipare dei risultati positivi da sbattere in prima pagina e da portare trionfalmente in televisione, si è inventata la pre-notizia, il pre-annuncio, il pre-dato. Così, con abilità di consumati prestigiatori, i mezzi di informazione hanno diffuso ipotesi e congetture, idee e presupposti, che fino a ieri erano di dominio di chi giocava d'azzardo con la finanza. Oggi, la paternità di questo movimento di fiches è (anche) dell'Esecutivo. Confusi e sorpresi leggiamo e ascoltiamo notizie che ci illuminano sul futuro in questo modo: “Dopo i dati preliminari diffusi a metà marzo dal presidente dell’Inps Tito Boeri”(Il fatto quotidiano, 27-3-15), “dalle stime Istat emerge come il tasso di disoccupazione a dicembre risulti in forte calo. Si parla del 12,9%” (Si24, 30-1-15), “Abbiamo attraversato una fase emergenziale di crisi economica. Ne siamo fuori? Credo di sì, perché segnali univoci vanno in quella direzione” (Renzi su Il messaggero, 17-3-15), “Il Pil italiano crescerà dell'1,1% nel 2015 e dell'1,4% nel 2016. Lo rende noto il direttore dell'ufficio studi di Confcommercio” (Tgcom24, 28-3-15). Fare una previsione (spacciandola per dato di fatto), parzializzare un'analisi statistica, dare un'interpretazione emotiva a formule matematiche, sono esempi di pura manipolazione. Di per sé, non è cosa sbagliata a meno che non lo sia il motivo per il quale viene fatta. Su questo tema intendo giudicare l'operato dell'Esecutivo, della politica italiana e degli analisti. Se questa frenesia ed imprecisione servirà a convincere gli stranieri ad investire ed a credere nell'Italia e nei suoi abitanti allora penso che questo comportamento sia giustificabile e degno di indulgenza. Nel caso gli obiettivi fossero differenti, invece...
Pier Giorgio Tomatis

Il volo dell'aquila





Sulla tragedia che ha colpito 150 passeggeri del volo 9525 della Germanwings ho letto diverse ricostruzioni prima ancora che le autorità competenti abbiano fatto chiarezza sulle cause del disastro. Qualcuno sostiene che dietro questo mistero ci sia un esperimento militare fallito da parte della NATO. Altri sostengono si tratti di un atto terroristico. C'è chi ne approfitta per fare confronti fra il nostrano Schettino e il teutonico Lubitz (sottolineando che è meglio essere distratti da una donna in carne ed ossa che non dal suo ricordo dopo una, l'ultima, litigata). Alcuni approfittano di questa tragedia per criticare l'arroganza tedesca e rivendicare la fallibilità umana. Di tutti gli esseri umani, senza distinzioni geografiche. C'è chi attende un responso che, data la singolarità del caso, sta giustamente tardando ad arrivare. Una parte di coloro che seguono questa vicenda non tiene a freno il proprio nervosismo ed il vissuto e litiga, commenta acidamente, provoca, condanna. Credo sia profondamente sbagliato. Litigare su una tragedia così non è cosa intelligente. Un aereo cade. Muoiono tante persone. Bambini. L'aereo era tedesco. Il pilota con la cloche, pure. Le cause ancora da chiarire. L'Italia con le misteriose stragi aeree ha già dato. La Fede religiosa potrebbe essere una facile spiegazione per la tragedia ma al momento non è dato di confermare questo sospetto. Sperarlo è assurdo e controproducente per tutti. Se pensassimo che ogni aereo, treno, autobus su cui viaggiamo potrebbe essere preda del folle gesto di un terrorista o di un depresso non ci sentiremmo più al sicuro in nessun posto. Non c'è luogo sulla Terra abbastanza protetto da porci al riparo dai mezzi di trasporto. Essi raggiungono l'aria, la terraferma, il mare. Una sola è la certezza: sono morte tante persone. Anziani, giovani, bambini, E' accaduta una tragedia. Possiamo solo piangere e riflettere. Tutto il resto, che non è rispetto, è incoscienza.
Pier Giorgio Tomatis

V per Violenza





Ogni anno, l'Institute for Economics and Peace (IEP) in collaborazione con un équipe internazionale di esperti di pace da istituti e da think tank su dati forniti e rielaborati dall'Economist Intelligence Unit, società di ricerca e consulenza che fornisce analisi sulla gestione di stati ed aziende, stila il Global Peace Index (GPI), ovvero la classifica delle nazioni in base a quanto sono pacifiche o, viste dalla prospettiva opposta, da quanto non sono violente. E' stato pubblicato per la prima volta nel 2007 e esamina la situazione di 162 Stati. I fattori che prende in considerazione sono: numero di conflitti esterni ed interni combattuti, decessi stimati dovuti a conflitti esteri, decessi stimati dovuti a conflitti interni, livello di conflitto interno organizzato, relazione con stati vicini, livello di criminalità percepita dalla società, numero di rifugiati e profughi in percentuale alla popolazione, instabilità politica, livello di rispetto dei diritti umani (bilancio del terrore politico), terrorismo, numero di omicidi, livello di criminalità violenta, probabilità di dimostrazioni violente, numero di carcerati, numero di agenti di polizia e sicurezza, spesa militare in percentuale al GDP, numero di personale delle forze armate, importazioni di armi convenzionali rilevanti, esportazione di armi convenzionali rilevanti, fondi per missioni di peacekeeping dell'ONU, numero di armi pesanti e capacità nucleare, facilità di accesso ad armi leggere. Pur comparendo ben 7 nazioni dell'Europa geografica, l'Italia non è presente nei primi 10 posti. La classifica vede al primo posto l'Islanda, seguita dalla Danimarca e poi via via ci sono l'Austria, la Nuova Zelanda, la Svizzera, la Finlandia, il Canada, il Giappone, il Belgio e la Norvegia. Il costo stimato della lotta globale contro la violenza raggiunge i 9 mila 8 cento miliardi di dollari (2 mila 535 miliardi solo per le spese militari). Il Belpaese è al 34esimo posto. Tra i Paesi che, viceversa, risultano più arretrati, secondo il GPI, troviamo la Siria, il Sudan e l'Afghanistan.
Pier Giorgio Tomatis





Il Signore dei Tranelli





Il Job-Act peggiora la vita e la salute degli italiani senza dare certezze di liquidità (e nemmeno di liquidazione cospicua) né di occupazione. Anziché prendersela coi gufi, i pigri, che riempiono le piazze s i oppongono ad un sistema, forse sarebbe meglio ascoltare le opinioni discordanti e dare ad esse il rispetto che meritano. Tanto più che se tutti gli italiani avessero sempre detto di sì a chi comandava, oggi forse saremmo sempre tedeschi ma di vecchia data. Ancor più nausea mi provoca conoscere l'opinione di alcuni docenti che ha recentemente trovato spazio nei mezzi d'informazione. Il professore Antonio De Feo, che ha insegnato Diritto del Lavoro in diverse università della Puglia, a Bari e Lecce, in una intervista all’Adnkronos ha sostenuto che il Job Act dovrebbe prevedere l'abolizione della Legge 104. Per chi non lo sapesse, si tratta della possibilità che un coniuge od un parente possa assentarsi dal lavoro con un permesso di 2 o 3 giorni per grave malattia del congiunto. Le opinioni vanno rispettate ma le problematiche sollevate... pure. I diritti dei lavoratori che si sono cancellate o che si depenneranno in futuro sono tanti, troppi. Anziché difendere la nostra eccellenza mondialmente riconosciuta (il Made in Italy) la si è massacrata e lasciata in balia del TTIP, salvo poi farci credere che la crisi occupazionale è figlia dell'ingessatura del nostro sistema lavorativo. Stiamo vedendo un film: “Il Signore dei Tranelli”. Tra i problemi che la nuova normativa sul Lavoro solleverà ce ne sono un paio che debbono fare riflettere. Che cosa succede al Job-Act se ci viene diagnosticata una malattia o una gravidanza? Alzi la mano chi pensa che il datore di lavoro permetterà la conservazione del lavoro o l'indennità corrisposta serva alle cure o al mantenimento del nascituro. D'ora in poi, a rischio della nostra salute, lavoreremo anche quando non saremo in condizione di farlo e saremo economicamente fragili quando meno ne avremo bisogno. Naturalmente, se si è un/a figlio/a di... o un/a raccomandato/a le cose non cambieranno di molto. Magari, il tutto si risolverà con un modello di Rolex più economico o con qualche mq. di appartamento in meno o più lontano dal centro. Con buona pace della nostrana intellighenzia.
Pier Giorgio Tomatis

La ricerca della felicità




    Una classifica elaborata dalla CNN con un Istituto di Ricerca internazionale ha rivelato che dei dieci Paesi in cui la popolazione si sente più felice 8 sono dell'Europa geografica e 6 hanno l'Euro come moneta. Questo sorprendente sondaggio (perché di questo si tratta) ha usato come parametri di giudizio: il Supporto sociale, l'Aspettativa di vita, la Libertà di scelta per la propria vita, la Generosità e il Basso livello di corruzione (e qui, noi italiani siamo finiti a fondo classifica). Se dovessimo prendere questo dato come valore assoluto ci sono due considerazioni che occorre doverosamente fare. La prima è che, curiosamente, tale classifica assomiglia a quella del Global Peace Index (GPI) ovvero l'Indice di Pace Globale, il quale misura il livello di violenza di un Paese. Confrontiamo le due classifiche. La prima indica le nazioni con i cittadini più felici:
  1. Danimarca
  2. Norvegia
  3. Svizzera
  4. Paesi Bassi
  5. Svezia
  6. Canada
  7. Finlandia
  8. Austria
  9. Islanda
  10. Australia
    La seconda, invece, le Nazioni che investono meno per la Difesa e il cui livello di violenza (interno ed estero) è molto basso:
1.Islanda
2.Danimarca
3.Austria
4.Nuova Zelanda
5.Svizzera
6.Finlandia
7.Canada
8.Giappone
9.Belgio
10.Norvegia.
Per 8/10 si tratta della stessa classifica. La seconda considerazione da fare è verificare quanti soldi l'Italia versa all'Europa e quanto rientra sotto forma di finanziamenti, ecc. La classifica dei primi 8 (ma i dati sono del 2011, la situazione è peggiorata... per noi) è la seguente:
Italia (16 miliardi versati-9,5 miliardi fondi rientrati)
Germania (23,7 miliardi-11,8)
Francia (19,5 miliardi-13)
Gran Bretagna (14,6 miliardi-6,75)
Polonia (3,5 miliardi-14,4)
Ungheria (937 milioni - 5,3)
Grecia (1,9 miliardi-6,5)
Spagna (11 miliardi-13,5).
Per aggiungere un nuovo motivo di lagnanza che non rende gli italiani felici vi aggiungo una classifica più aggiornata dei versamenti NETTI che il nostro Paese ha fatto dall'ingresso nell UE. La differenza passiva è stata:
anno 2000: meno 1.098,13 MILIONI di euro;
anno 2001: meno 3.730,55 MILIONI di euro;
anno 2002: meno 3.496,92 MILIONI di euro;
anno 2003: meno 2.253,15 MILIONI di euro;
anno 2004: meno 3.370,61 MILIONI di euro;
anno 2005: meno 4.298,13 MILIONI di euro;
anno 2006: meno 3.928,88 MILIONI di euro;
anno 2007: meno 3.715,19 MILIONI di euro;
anno 2008: meno 6.020,92 MILIONI di euro;
anno 2009: meno 7.225,68 MILIONI di euro;
anno 2010: meno 6.539,26 MILIONI di euro;
anno 2011: meno 7.570,40 MILIONI di euro;
anno 2012: meno 6.204,25 MILIONI di euro;
anno 2013: meno 5.246,83 MILIONI di euro.
Per un totale di quasi 64,7 MILIARDI DI EURO. Se il denaro non fa la felicità è pur vero che privarsene così ha contribuito a renderci tutti più infelici.

Pier Giorgio Tomatis

venerdì 27 marzo 2015

GUARDARE LE STELLE NON È COME LEGGERE IL GIORNALE: il secondo singolo di Stefano Vergani in rotazione radiofonica




Nuovo singolo estratto dall’ultimo album del cantautore brianzolo APPLAUSI A PRESCINDERE, tra i finalisti di Musicultura 2015


La canzone racconta della difficoltà di un artista nel momento in cui perde la fiducia nella città e nella gente che lo circonda, della sua solitudine e del bisogno di aiuto che è necessario per andare avanti in un mondo sempre più indifferente alla bellezza.



Applausi a prescindere è un disco dove si mescola l’ironia amara che ha sempre contraddistinto la produzione di Stefano Vergani, ad una gioia velata; è un disco di musica vagamente leggera, dove si torna a raccontare delle storie, dove si da vita a personaggi che mettono in mostra tutta la loro unicità nella buona e nella cattiva luce, dall’invidia, alla gelosia, all’eros, all’amore, nel senso più puro, per passare poi alla solitudine e alla ricerca di aiuto. Un disco che oscilla tra il sorriso e una nuova consapevolezza dell’autore che ha voluto fortemente ritornare a raccontare storie con la semplicità che si muove tra le note di una musica che sembrava perduta.

DICONO DI LUI

"Applausi a prescindere" è un disco per palati fini, da ascoltare attentamente senza tralasciare niente, quasi come fosse un libro che contiene, al suo interno, tanti racconti diversi fra loro ma accomunati da un filo conduttore che parte dal principio per poi snodarsi gentilmente fino alla fine. Alice Tiezzi, Rockit

Leggerezza. Questa la cifra stilistica del cantautore brianzolo. Leggerezza del suono e dello scrivere. La sua musica crea atmosfere fuori dal tempo, non riconducibili a un genere specifico (se non chiaramente al mare sconfinato della canzone d’autore); atmosfere che la voce profonda di questo cantautore accarezza morbidamente. Francesca Bignami, L’Isola che non c’era

Di nuovo il testo, ritornano quindi le parole ad essere le grandi protagoniste nella ricchezza delle infinite sfumature di un disco di bella canzone d’autore italiana. Paolo Tocco, Raro Più

Dischi, e artisti, come questi, fuori dagli schemi e dalle mode, andrebbero protetti e tutelati come se fossero una riserva naturale. Complimenti. Giacomo Messina, KDCobain

Mi stupisco sempre della sua abilità di concatenare in un verso decine di parole che si rincorrono e si inseguono a formare un vortice che travolge e trascina per tutta la canzone.
Mai banale ne scontato, ne nella musica ne nel testo,  fa sempre emergere il suo punto di vista su quello che ci racconta.
Davide Vedovelli, Valle Sabbia News

Un disco maturo, grande per un pubblico grande, ambiziosa crociata alla superficie culturale a cui i media pettinati ci stanno abituando, un disco che starebbe bene su vinile piuttosto che su i-pod […]. Sound36

Sempre rauca e trascinata è la voce di Stefano Vergani, "solo" con le sue storie e in compagnia dei personaggi autentici che le animano. Personaggio principale o interprete secondario. Narratore o semplice comparsa. Due facce uguali e diverse di Stefano Vergani. Leonardo Follieri, Jam on line

Insomma “Applausi A Prescindere” è un disco senza dubbio affascinante che non mancherà di riservare belle sorprese a quanti sapranno coglierne con attenzione ogni sfumatura, ed ogni dettaglio poetico. Salvatore Esposito, Blogfoolk

[…] non ascoltavo un album così bello, ma così bello, da un sacco di tempo. Giuseppe Galato, Colori Vivaci Magazine

Con questo quarto capitolo della sua discografica, la musica d’autore italiana torna ad aprire un capitolo assai prezioso che è legato al racconto di storie e dei suoi personaggi, e in questo Stefano Vergani è maestro restituendo al tutto uno scenario sonoro di altri tempi, sicuramente anni luce dall’industrializzazione digitale che oggi è ormai divenuto il filo conduttore di qualsiasi cosa. Marco Vittoria, Vento Nuovo

Un bel disco e un cantautore genuino,un vero artista come non se ne sentono tutti i giorni. Notevole capacità di scrittura e voce robusta,molto particolare ed interessante.
Dedicato a tutti gli amanti della buona musica. Francesco Lenzi, Audiofollia

C’è poesia e forte maturità nei testi di Vergani, che si presenta come un songwriter di spessore. Già nei titoli alcune tracce fanno intravedere tutta la loro forza, la capacità di raccontare storie e far sognare anche […]. Sisco Montalto, Clap Bands Magazine

Scenari ovviamente voluti dallo stesso Vergani ma che comunque forse a loro modo confondono o distraggono chi dalla sua delicatezza ormai si era lasciato totalmente rapire, la stessa con cui per il resto del lavoro ha saputo incastrare i tasselli di un puzzle da avere assolutamente a casa propria. Paolo Polidoro, Musicalnews


BIO
Stefano Vergani pubblica il suo primo disco Ufficiale nel 2005. E’ firmato insieme a quella che allora si faceva chiamare Orchestrina Pontiroli e prende il curioso e complicato titolo di “La musica è un pretesto la sirena una metafora”. I tempi che passano tra la registrazione e l’uscita del disco sono però lunghi, così lunghi che in mezzo ci passa l’esibizione al primo Mantova musica festival e la partecipazione al Club Tenco nel 2004 dove Stefano viene premiato con la Targa SIAE come miglior autore emergente. Segue il primo premio per la rassegna “Non sparate sul pianista”. Seguono concerti in lungo e in largo per la penisola affiancati ad una densa attività di produzione di canzoni. L’insieme di quest’ultime fa nascere “Chagrin D’amour” firmato sempre con L’Orchestrina Pontiroli che di lì a poco cambierà nome in Orchestrina Acapulco. Il disco vede la luce nel Novembre 2007. Da qui viene estratto il primo video ufficiale di Stefano Vergani “Pesci e Poltrone”.
La band nel corso degli anni cresce e muta di continuo fino ad arrivare ad una “apparente stabilità” chiamata Orchestrina Acapulco. E’ con questa formazione ed un nuovo bagaglio di canzoni che nel Luglio del 2010 Stefano è invitato a suonare al prestigioso Festival di Villa Arconati a Bollate in provincia di Milano. Dopo poco vengono concluse le registrazione del nuovo disco “E allor pensai che mai” che esce nel Gennaio del 2011. Dall’album viene estratto il secondo video ufficiale “Mercoledì”.
Nello stesso anno Stefano vince il primo premio durante la rassegna “Musica da bere”.
Seguono concerti per i due anni successivi con partecipazioni a festival e manifestazioni in tutta Italia.
Da ottobre 2013, un nuovo cambio di rotta, cominciano i lavori per il suo primo disco da solista: il nuovo lavoro “Applausi a prescindere” firmato Stefano Vergani è uscito il 29 Settembre 2014.
Intensa l’attività live che vede il cantautore impegnato in un tour in continuo aggiornamento di date in tutta Italia dove continua a raccogliere grandi consensi.
Inoltre Stefano Vergani è tra i 16 finalisti di Musicultura 2015, edizione ancora in corso.




Francesca Zizzari 

francesca@laltoparlante.it - tel. 328 4161425

“PARLA PIÙ FORTE” è IL NUOVO DISCO DI JOVINE IN VENDITA DAL 10 MARZO 2015



Il settimo disco di JOVINE “Parla Più Forte” supera i confini del reggae e abbraccia nuovi stili e sonorità: dal rock al funky, dal pop all’hip-hop, con ospiti-fratelli come Zulù, Clementino e molti altri

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Annunciato già in autunno con l’ultima canzone della tracklistSuperficiale” diffusa in anteprima, “PARLA PIÙ FORTE” è il settimo album di JOVINE, in vendita dal 10 marzo 2015 in tutti i negozi con distribuzione Artist First. Le 13 tracce sono nate lungo il viaggio musicale di un artista costantemente in tour, tra palchi, club, teatri e tv
JOVINE – tra i più amati concorrenti della scorsa edizione di The Voice of Italy in squadra con J-Ax – ha attinto così le sue migliori idee musicali, trasformandole in immagini, storie e motivi orecchiabili da cantare forte, proprio guardando alla realtà in movimento, alla strada reale in cui tutti viviamo ogni giorno, tra alti e bassi, buchi e dossi, incontrando e osservando gli altri e se stessi da dentro una scatola a schermo piatto, ma anche dall’oblò di un furgone che attraversa il Paese per un’autentica esigenza di comunicare.
Per l'artista partenopeo che si vinca o si perda in un reality show, poco conta: the show must go on e l’importante è non rimanerci incastrato dentro, ma “viverci sopra”, senza essere schiacciati sotto la superficialità di una visibilità apparente. Tutto questo JOVINE lo canta forte nel nuovo incalzante singolo “Vivo in un Reality Show”, estratto da “PARLA PIÙ FORTE”.


PARLA PIÙ FORTE” è la prova di come si possano intrecciare insieme strade diverse, stili tradizionali e sonorità sperimentali, per creare nuove canzoni condivise con fratelli di musica con cui JOVINE collabora da anni, come O' Zulù e Dope One, Nto' (ex Co'Sang). Con Clementino nasce la canzone che dà il titolo all'album e per la prima volta si realizzano duetti con voci femminili:  Carolina Russi Pettinelli e Benedetta Valanzano, con la splendida partecipazione della Pankina Krew. I musicisti sono tutti di origine napoletana di altissimo livello, da Giulio Martino a Lino Pariota, Marco Spedaliere e JRM. “PARLA PIÙ FORTE” non è soltanto un album reggae, ma è il mix di tutto quello cha la famiglia di JOVINE ha sempre amato ascoltare e suonare, unito con tante nuove sonorità, per diventare disco pop, con suoni rock, dub step, R'n'B, hip-hop, funky e naturalmente reggae.

"Quando si comincia a fare musica, si intraprende un viaggio quasi inconsapevolmente e si tira fuori tutto ciò che si ha per farsi ascoltare. Poi la vita ti mette di fronte a scelte da fare. Molti smettono di fare musica, altri decidono di intraprendere una vita più sicura: io ho scelto a vent'anni di fare questo e mi ritrovo oggi come fosse ogni giorno il primo, con la stessa voglia di tirare fuori tutto quello che ho. Questa volta, però, ho la consapevolezza di chi sa di essere quasi arrivato alla metà del viaggio" (Valerio Jovine).



Biografia
L’avventura musicale di JOVINE nasce nel 1998 dal progetto di Valerio Jovine, in collaborazione con il fratello Massimo “JRM” dei 99 POSSE. Quando intraprende il suo viaggio nel mondo della musica, Valerio è un cantautore che dispone esclusivamente di un umile bagaglio, pieno di ambizione, grinta e sogni da realizzare, che si arricchisce passo dopo passo di preziose esperienze, grazie alla cooperazione con grandi musicisti. "CONTAGIATO" (BMG) è il titolo del primo album prodotto nel 2000. Valerio è giovanissimo e, dopo una lunga gavetta nei “peggiori” locali di Napoli (città in cui è nato e cresciuto, e che gli sussurra incessantemente ispirazioni ed emozioni da convertire in musica), muove i primi fermi passi su quell’affascinante pianeta in cui regnano melodie e note, ritrovandosi presto in tour con i Simple Minds. Passano gli anni e Valerio affina ulteriormente la sua anima artistica, avvicinandosi a quella Reggae Music che diventerà poi la cifra stilistica, nel quale il suo modo di “fare musica” troverà la più sopraffina, esaustiva ed appagante forma ed espressione. Nel frattempo il progetto JOVINE cresce e oltrepassa la dimensione individuale di Valerio, grazie alla nascita di collaborazioni con altri musicisti che andranno poi a costituire la formazione attuale: Alessandro Aspide (basso), Michele Acanfora (tromba), Guido Amalfitano (batteria) e Paolo Bianconcini (percussioni). Nel 2001, il cocktail finale del mix di emozioni riconducibili alla sfera personale di Valerio, miscelate a quelle sortite da quanto accaduto durante il G8 di Genova, si traduce in un nuovo album, frutto dell’ennesima partecipazione creativa con i suoi musicisti, e che rappresenta il preludio di quell’affiatata complicità destinata a consolidarsi nel tempo. Distribuito da Il Manifesto nel 2004 esce "ORA". L’album contiene brani come "L'Immenso" e "C.C.C.", apprezzatissimi dal pubblico italiano, e poi "Ci Sono Giorni", che racconta, per l’appunto, i giorni di Genova percepiti con gli occhi di chi sognava semplicemente un mondo migliore. L’anno successivo l’insaziabile desiderio di procreare musica, induce Valerio e la sua band a riunirsi nuovamente: realizzano, così, l’album "SENZA LIMITI" (prodotto da Rai Trade), in cui brani scritti in dialetto - quali "O'Reggae e Maradona" e " Da sud a Sud" - rimarcano il profondo attaccamento degli JOVINE alla propria terra, concorrendo ad accrescere sensibilmente la notorietà della band partenopea, della quale "No Time" diventa l’inno indiscusso. Supportati e legittimati da quell’esponenziale ascesa di consensi, gli JOVINE conquistano un posto privilegiato nell’Olimpo degli dei della musica targata “Made in Naples”. Nel 2008 è la volta dell’album “In viaggio”: il primo album live che raccoglie i classici del repertorio della band, due inediti e due cover d’eccezione rivisitate con grande divertissement d’arrangiamento. Dopo un lungo tour in giro per l’Italia, nel 2010 è la volta dell’album "IL MONDO È FUORI", autoprodotto e autodistribuito, all’interno del quale sono incastonate 13 tracce dalla natura profondamente reggae, ulteriormente impreziosite da numerose collaborazioni con personaggi della scena Urban, quali: Cico, Jah Sazzah e Don Skal degli Aretuska, O’Zulu' dei 99 Posse, Speaker Cenzou e Cor Veleno. Dopo due tour, di cui uno insieme a Zulù, nasce una duplice collaborazione con il cantante dei 99 Posse: nel 2010 infatti Valerio entra a far parte, come seconda voce, della nuova formazione live dei 99 Posse, tornati dopo dieci anni sulla scena musicale con il loro ultimo album “Cattivi Guagliuni”, alla cui realizzazione Valerio collabora ampiamente. Nel 2012 gli JOVINE realizzano l’album “SEI”, il cui titolo preannuncia, demarca e sottolinea il conseguimento di un traguardo significativo, umano ed artistico: i “SEI” membri della band sono, infatti, giunti alla realizzazione del loro sesto disco, il quale agglomera le esperienze vissute, lasciando traspirare l’emozione che scaturisce dall’avventura musicale che li ha condotti fin lì. Un album che è figlio del connubio perfetto e armonico tra gli aspetti che inaspriscono il quotidiano e quelli più felici e genuini che di contro colorano l’esistenza; 12 tracce condite da un giusto mix di italiano e napoletano, nei quali si alternano i flow più lievi e scorrevoli a vere e proprie cantate rap, nei quali convergono sonorità diverse, come il reggae, il jazz, il dub più elettronico e, talvolta, anche accenni di pop. Gli JOVINE si avvalgono, inoltre, di featuring di tutto rispetto: O’ Zulu, Kaya Pezz8 e Jrm, tutti componenti dei 99 Posse, Dope One dei Freestyle ConceptDj Uncino e Speaker Cenzou. All’interno del disco sono contenuti brani che riscuotono buoni consensi, quali “Canto” e “La rivoluzione”, mentre il video della canzone “Me’ so’ scetat’ e tre” realizzato in collaborazione con i comici di “Made in Sud” rilancia l’ingegnosa e propositiva verve della band, evidenziando la fervida malleabilità della loro stessa anima musicale. Tuttavia, “SEI” è soprattutto l’album che include “Napulitan’”: brano diventato ben presto uno degli indiscussi cavalli di battaglia degli JOVINE, abile nel coinvolgere, infervorare, trascinare e ammaliare cuori ed orecchie ubicati in tutto il mondo, autoproclamandosi il più sincero e moderno “inno alla napoletanità” e che inequivocabilmente rimarca lo spirito d’appartenenza della band. Nell’aprile del 2014 Valerio pratica una scelta tanto coraggiosa quanto lungimirante, partecipando al talent show televisivo di Rai Due “The Voice of Italy”. Superate le blind auditions ed entrato a far parte del Team J-AX, Valerio ha avuto modo non solo di dare libero e totale sfogo alla sua poliedrica e versatile anima artistica, dimostrando di essere un carismatico e scaltro “animale da palcoscenico”, ma - aspetto ancor più rilevante - è riuscito a portare la Musica Reggae in tv, consentendo alla più ampia fetta di pubblico, della quale poteva auspicare di disporre, di comprendere che il suddetto genere musicale è tutt’altro che uno stile destinato ad un gramo pubblico di nicchia. Complici, in tal senso, le sublimi e coinvolgenti esibizioni di Valerio, all’interno delle quali ha saputo sagacemente rimpastare i brani più disparati del repertorio musicale italiano e internazionale, cucendogli addosso il suo inconfondibile “Reggae Style”. Canzoni come “Like a Virgin”, “Il cielo in una stanza” e “Una carezza in un pugno” hanno riscosso sensibili e copiosi consensi, da parte della critica e del pubblico, i quali all’unanimità lo hanno consacrato artista di fama nazionale. IL 10 MARZO 2015 ESCE “PARLA PIU’ FORTE”, settimo disco di JOVINE, promosso attraverso la canzone “Vivo in un reality show”, manifesto che esorta a sopravvivere alla fine apparente di ogni spettacolo, perché la vita in fondo è uno show infinito e reale che deve andare comunque avanti!




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